venerdì 1 maggio 2020

Perché i concorsi non risolveranno la questione del precariato

Essere insegnanti precari significa formare, educare, collaborare, innovare e sperimentare con un timer puntato. Ogni giugno abbandoniamo ciò che abbiamo costruito con colleghi e alunni in un intero anno scolastico, e in ogni precario è forte la consapevolezza delle limitazioni che l’obbligo di cambiare scuola impone ai suoi interventi educativi. Difficilmente infatti si viene riconfermati nella stessa sede e, anche quando accade, si tratta sempre di una condizione temporanea. Queste condizioni di lavoro, già difficili in tempi non emergenziali, si sono aggravate con l’epidemia di Covid 19: la possibilità di iniziare il prossimo a.s. in modalità DaD con interlocutori nuovi è realmente preoccupante per noi e per tutte le classi che vedono ogni anno cambiare i propri docenti, in barba all’importanza della tanto decantata relazione educativa.


“Funambolo – Splash cut” di Aliatis

La narrazione dominante che vuole dipingere la stabilità come un orpello da nostalgici o la pigra richiesta di individui non flessibili e resistenti al cambiamento, vuole negare che la stabilità è la condizione materiale che permette alle scuole di funzionare come fertili comunità educanti, che sappiano accompagnare a pieno il percorso di crescita dei propri componenti. Si parla degli alunni, ovviamente, ma anche del personale docente. L’innovazione didattica e le pratiche educative si costruiscono nella collaborazione tra insegnanti: un precario ha nove mesi di tempo per collaborare con i suoi colleghi. A fine anno, si chiude tutto e si riparte da zero.
Una scuola sana dovrebbe reggersi su mutamenti ridotti e un fisiologico turn over, ma ormai da anni ai pensionamenti non seguono altrettante stabilizzazioni. Le necessità educative e di istruzione invece restano, e i posti devono essere riempiti. Prendiamo l’esempio della scuola secondaria: dal 2014, è negato ai docenti qualsiasi percorso di accesso al ruolo.

Questi i numeri:
    ● a.s 2019/2020: 150.000 contratti per supplenze annuali, cui si aggiungono le supplenze brevi
    ● stime per l'a.s. 2020/2021: 200.000 contratti per supplenze annuali

Di questi contratti, molti sono assegnati tramite Messe a Disposizione (MaD): persone, laureate e non, chiamate perché si sono trovate nel posto giusto al momento giusto - o per conoscenze giuste - a riempire i vuoti che neanche le graduatorie ad esaurimento e quelle di istituto riescono a colmare. Un substrato precario ancora più instabile e deregolamentato. In questi numeri straordinari, che sono ahinoi l’ordinario, la situazione del sostegno è la più emergenziale.
Nonostante sia l’unico ambito per cui sia stato possibile frequentare dei Corsi formativi di Specializzazione (con ingresso selettivo e a pagamento) il numero degli specializzati resta assolutamente insufficiente rispetto al fabbisogno, e di fatto risulterà impossibile per molti di loro stabilizzarsi, dato che i posti messi a bando sono esigui e anche questo personale già formato dovrà essere sottoposto al quiz-scrematura.

Oltre alla mancanza di continuità, il precariato crea un tipo di docenza di serie B e ulteriori fratture nelle comunità scolastiche. A stesse responsabilità e stessi doveri dei colleghi di ruolo, non corrispondono stessi diritti: niente bonus docente, nessuno scatto di anzianità, nessun giorno di permesso retribuito (partecipare ai concorsi della scuola richiede permessi non retribuiti che interrompono l’anzianità di servizio), ricorso al sussidio di disoccupazione per i mesi senza contratto.

Ci si prospetta adesso un percorso spacciato dallo Stato - concetto ribadito dal Presidente del Consiglio nella conferenza stampa del 26/04 - come occasione e regalo. Due concorsi per un totale di 49000 assunzioni: uno straordinario per chi ha almeno tre anni di servizio nelle scuole statali (che taglia fuori chi ha maturato servizio solo sul sostegno) e uno ordinario aperto a tutti. La logica sottesa alle due procedure viene presentata come meritocratica, utile alla selezione di ottimi docenti della scuola del futuro.
Peccato che quegli stessi docenti sono in gran parte i docenti dell’oggi: circa 60.000 hanno almeno 3 anni di servizio, più di 90.000 hanno già lavorato a scuola. E continueranno a farlo: perché la scuola ne ha bisogno, e dopo essere stati falciati con le modalità più avanti spiegate, torneranno in cattedra a svolgere il loro lavoro. La dignità negata è quindi quella dei docenti a cui non vengono riconosciuti diritti e opportunità, mentre si avanzano loro richieste indistinguibili da quelle fatte ai docenti di ruolo, non ultimo l’impegno nella DaD.

Acquarello di Maddalena Sisto

Principali problematicità delle procedure concorsuali proposte
A fronte di 200.000 cattedre annuali previste per l’a.s. 2020/21, i posti banditi dai concorsi costituiscono 1⁄4 del totale. Finché non si provvederà ad un adeguamento dei posti messi a bando rispetto al reale fabbisogno, esisteranno sempre dei precari di cui lo Stato necessita, ma che molta opinione pubblica e alcuni politici disprezzano.

Stando ai bandi in uscita, la selezione per il personale con servizio prevede un test a risposta multipla (80 domande in 80 minuti) su contenuti disciplinari e metodologie didattiche: programmi estremamente vasti, consultabili sul portale del Ministero. Soltanto chi totalizzerà almeno 56 punti su 80 potrà sostenere le successive prove (lezione simulata e interrogazione con commissione d'esame per conseguire l'abilitazione) e, se avrà titoli e servizi sufficienti a rientrare nel numero di posti messi a bando, ottenere il ruolo. Il superquiz iniziale diventa quindi lo strumento filtro che, con una meccanicità lontana anni luce dalla pratica didattica quotidiana, boccia o promuove la carriera di un insegnante con maturata esperienza e competenze didattiche, non esaminabili tramite questo tipo di prova.

Non si tratta solo della possibilità di ottenere finalmente un contratto stabile: legare il concetto di 'abilitazione' a questa prova-quiz comporta che tutti coloro che la supereranno potranno abilitarsi (senza il diritto all’assunzione) se completeranno il percorso previsto ed inserirsi in una graduatoria con precedenza nell'assegnazione degli incarichi annuali rispetto a chi non possiede l'abilitazione. Per questi ultimi, esclusi da una crocetta, l'unica strada prevista è il concorso ordinario, con le sue tre prove, insieme ai neolaureati. Ricordiamo che anni di precariato significano esistenze che avanzano, vite che provano a strutturarsi e a fissare direzioni, individui che faticano ad essere performanti in situazioni selettive quanto possono esserlo i neolaureati. A tutto ciò si aggiunge adesso l’effetto tossico di mesi di stress, preoccupazioni, dolore e perdite che certamente non costituiscono la cornice ideale per cimentarsi in una gara di memoria a tempo, come è facile dedurre dalla letteratura specialistica in fatto di didattica e valutazione, sulla quale la Ministra ci vuole preparati ma della quale si ostina ad ignorare i precetti quando si tratta di valutare noi.
In sintesi, il Ministero intende delegare a un quiz a risposta multipla da svolgersi in meno di un'ora e mezza la funzione di dividere gli insegnanti precari con servizio che avranno ancora la possibilità di svolgere il proprio lavoro e di ottenere il ruolo, da quelli che invece resteranno tagliati fuori.
L'abisso tra questi criteri e le effettive capacità richieste dalla pratica didattica quotidiana è criticato non solo dai precari con servizio, ma anche dai sindacati, da vari esponenti di maggioranza e opposizione, dallo stesso CSPI, che ha definito i criteri troppo stringenti e la tipologia di prova non adeguata.

In questo contesto, l’unica strada percorribile per non disperdere l’esperienza dei precari e garantire l’effettiva presa di servizio dal primo settembre sarebbe un concorso per titoli e servizio con selezione in uscita, e parallelamente l’aggiornamento delle graduatorie provinciali per l’assegnazione delle altre supplenze.

Ciò nonostante, la Ministra Azzolina e i suoi collaboratori, ciechi e sordi a qualunque richiesta di cambiamento di rotta, rivendicano orgogliosamente la purezza "meritocratica" della loro linea e intendono bandire i concorsi entro la fine di aprile, dando all’opinione pubblica l’illusione che il concorso straordinario, con i suoi numeri risicati, potrà da solo consentire un avvio regolare dell’anno scolastico e la risoluzione dei problemi del precariato. Tuttavia, l’incertezza della condizione sanitaria in cui ci troviamo difficilmente permetterà di realizzare questa cieca marcia a tappe forzate, col risultato che a settembre saremo di nuovo noi, i precari, a tornare nelle aule, reali o virtuali che siano.