domenica 4 ottobre 2020

 PERCHÉ GLI INSEGNANTI DICONO NO AL CONCORSO 


Si parla molto di scuola ultimamente, e negli ultimi giorni il concorso straordinario per l’assunzione dei precari della scuola secondaria è comparso nelle prime pagine dei giornali, spesso accompagnato dalla notizia che gli insegnanti precari, in realtà, questo concorso non vorrebbero farlo, nonostante questa sia l’unica strada per arrivare al ruolo. 


Perché gli insegnanti precari non vogliono il concorso?




LA MALATTIA CRONICA DEL PRECARIATO

Le ragioni sono molteplici, e i problemi creati dall’emergenza COVID-19 rappresentano solo la punta dell’iceberg. Per comprenderle fino in fondo bisogna capire chi sono i 60000 e più aspiranti che parteciperanno alla procedura prevista per fine ottobre. 

Hanno inmedia tra i 35 e i 40 anni, sono in maggioranza donne, hanno una laurea almeno quinquennale che consente l’inserimento nella graduatoria provinciale per la propria disciplina. Svolgono questo lavoro da almeno tre anni, o da molto di più. Non sono in possesso dell’abilitazione all’insegnamento, anche perché l’ultimo percorso abilitante si è svolto nel 2014, dopodiché il nulla.



Considerati i numeri del precariato scolastico, è assai probabile che alcuni di loro siano stati i vostri insegnanti o gli insegnanti dei vostri figli. Ogni anno vengono assunti a settembre e licenziati in estate. Queste stesse persone sono chiamate adesso a sostenere un esame scritto selettivo, su un programma molto ampio e molto distante dalla pratica didattica. 


Perché gli insegnanti non vogliono questo concorso, quindi?


VALUTAZIONE E FORMAZIONE, UN BINOMIO INSCINDIBILE

La motivazione del ministero nel sottoporre il personale con servizio pluriennale ad una prova altamente selettiva è garantire la qualità dell’insegnamento. Chi non vorrebbe insegnanti più preparati?  

La qualità, però, non può essere definita in astratto; se si ricerca qualità si deve anche fornire uno standard, una strategia, un percorso formativo per ottenerla. Il Ministero si è limitato a stilare un lunghissimo elenco di argomenti da studiare, scarsamente corrispondenti con quello che si insegna a scuola.

Tramite un test scritto a computer in 150 minuti stabilirà che chi non supera il punteggio soglia non è neanche in grado di trasmettere conoscenze, stabilire una relazione proficuacon la classe, progettare la propria didattica. 



Gli insegnanti non vogliono questo concorso perché sono ben consapevoli che è inadeguato a intercettare le reali competenze del docente. Più di una selezione per merito, la procedura concorsuale ha le forme di una decimazione a campione, aggravata ancor di più dall'emergenza sanitaria, che comporta il rischio di un'esclusione senza appello per chiunque si trovi in quarantena.

La sproporzione tra il fabbisogno e i posti messi a bando - circa un terzo del totale - basta da sola ad evidenziare quanto lo zelo del Ministero nel voler bandire ora questo concorso straordinario risponda più a un efficientismo di facciata che ad una reale soluzione, con gli esclusi dal test che naturalmente torneranno in cattedra il settembre successivo da precari per coprire le migliaia di posti vuoti.

Questa instabilità cronica ha un impatto a cascata enorme su tutta la società, un impatto che è destinato a farsi più drammatico nei tempi di crisi che ci attendono se non si interviene per delineare con chiarezza un percorso diverso di accesso alla professione.



VERSO LA STABILIZZAZIONE 

Il disagio che accompagna l’avvicinarsi di questa procedura, insieme all’indignazione per la mancata tutela dei candidati in quarantena, è quello di sentirsi bersaglio di una operazione che rischia estromettere dalla scuola precariato con esperienza per farne subentrare uno più giovane e con meno diritti da vantare. 

Vale la pena di ricordare che l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea con la  sentenza 26/11/2014 n° C-22/13 per la reiterazione dei contratti a tempo determinato. Un tassello importante, che riconosce la natura non fisiologica del numero di incarichi a tempo determinato senza i quali la scuola italiana annualmente non potrebbe aprire, circostanza che il caos delle assegnazioni da GPS dovrebbe aver reso evidente alle famiglie di studenti costretti a rimanere a casa nelle prime settimane di scuola perché i supplenti necessari a gestire la classe non erano ancora stati nominati. 


La abilitazioni distribuite a pioggia da questi concorsi rischiano di fornire una scappatoia a chi dovrebbe assumersi la responsabilità di porre fine a questo abuso di contratti a tempo determinato, generando un ricambio non del personale stabile ma di quello precario, con un numero sempre maggiore di persone che gravitano intorno alla scuola e delle quali la scuola si serve senza dare nessuna garanzia. Le graduatorie di abilitati con questi concorsi si andranno ad aggiungere a quelle non ancora esaurite, allargando la platea di precari ed illudendo centinaia di migliaia di persone con il miraggio di un’assunzione che non arriverà. 



Un percorso di stabilizzazione e formazione del personale precario, attraverso un iter annuale selettivo in uscita, che ne valorizzi l’esperienza e abbia anche valenza formativa, appare come una modalità più proficua e razionale di gestire il personale già formato e inserito nella scuola, capace di rispondere alla richiesta di qualità e progettualità della scuola moderna. 


Invece, ci si ostina a pensare al merito solo in termini di test, sbarramenti, performance. In pratica ci viene suggerito che il modo migliore per valutare un nostro studente sarebbe decidere tra promozione e bocciatura sulla base di un unico test. 

E checché ne pensi la Ministra, siamo sufficientemente preparati per capire quanto inadeguato sia questo strumento. 



I CONCORSI NON RISOLVERANNO LA MANCANZA DI DOCENTI DI SOSTEGNO


Tra tutte le discipline anche l’avvio di quest’anno scolastico ci ha ricordato quanto il sostegno sia uno dei più grandi nodi ancora irrisolti della scuola italiana. Nonostante la creazione di graduatorie apposite e la richiesta da parte del Ministero di assegnare per prima i posti sul sostegno, tantissime cattedre risultano ancora da assegnare e la maggior parte andranno a personale non specializzato, magari alla prima esperienza.


Purtroppo le specializzazioni sono percorsi fortemente selettivi e costosi, gestiti interamente dalle Università, di cui i numeri messi a bando sono assolutamente inferiori rispetto al reale bisogno di docenti. Di conseguenza i docenti con la specializzazione sono pochi: ma solo a loro il Ministero ha concesso di poter partecipare ai concorsi, escludendo coloro che hanno maturato almeno tre anni di esperienza dalla possibilità di completare la loro formazione e di essere stabilizzati.

Il ministero dice che con i concorsi risolverà il problema del precariato, ma non è vero. Per quanto riguarda il sostegno solo una piccola parte verranno coperti. Gli altri saranno lasciati ancora una volta a supplenza, senza garanzie, senza continuità didattica.

Quella del sostegno è una vera e propria emergenza per studenti e famiglie: per riuscire a intervenire servirebbe un’azione seria, competente e lungimirante. Non è possibile rischiare di perdere docenti che hanno già dato prova del loro merito conseguendo una specializzazione lunga e duramente selettiva con un’ulteriore prova concorsuale. Non è possibile tagliare fuori docenti che in questi anni si sono spesi per imparare a ricoprire un ruolo per cui nessuno li aveva preparati: si tratta di un’esperienza acquisita preziosa, che non possiamo permetterci di perdere.

Serve invece raccogliere tutte queste energie e ripartire con una scuola più stabile a partire dalle sue componenti più fragili.


Nessun commento:

Posta un commento